Collettivo Creativo Latina Magazine
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lunedì 21 novembre 2022
Paola Turci vola così...e ci stupisce
venerdì 18 novembre 2022
Un anno pieno di cose
Dopo un anno di silenzio rieccoci qua. Un anno intenso dove sono successe tante cose, belle e brutte. Ma sappiamo che questa è la vita e non possiamo tirarci indietro. Volevamo intanto condividere con voi le cose belle, quindi nei prossimi post vi racconteremo cosa abbiamo fatto quest'anno, che di silenzioso ha avuto ben poco.
sabato 27 novembre 2021
"Strappare lungo i bordi" riflessioni sulla vita di un giovane inadeguato, come lo siamo stati tutti
Zerocalcare è geniale, questo è un dato di fatto. Il noto fumettista si è lanciato nella produzione di un serie animata che irriverente e coraggiosa. Il protagonista affronta la rabbia e l'inadeguatezza di un gioventù che si sente fuori dal mondo. La sua coscienza-armadillo (doppiato egregiamente da Valerio Mastrandrea) è lo spirito zen che sta dentro ognuno di noi, lo jedi che si nasconde tra le sinapsi pronto a uscire fuori nei momenti di bisogno.
Irriverente e senza paura di invadere spazi pericolosi, Zerocalcare va avanti come un treno mettendo in mezzo Hitler, Gesù, Fabrizio Frizzi, Mao Tse Tung e chi più ne ha più ne metta. La sua parlata romana e isterica ha creato alcune discussioni sui social che lasciano il tempo che trovano. In verità lo slang è un punto di forza, ricercato e portato all'esasperazione volutamente. La serie è piena di spunti filosofici for Dummies che spingono lo spettatore a farsi delle domande esistenziali tipo " Sarà meglio la Pizza margherita o la Pizza Stocazzo? Ovvero, resto nella comfort zone delle mie abitudini e mi accontento oppure rischio e magari sta Piazza Stocazzo è la miglior pizza al mondo e rimpiango il fatto di non averla mai provata prima? Insomma, il festival delle pippe mentali che ci fanno sorridere perché le abbiamo avute tutti e alcune ancora le abbiamo.
Ma il tema portante è un altro e lo scopriamo nell'ultima puntata, dopo aver seguito le disavventure di un viaggio a Biella ne scopriamo il motivo. Una sorta di Odissea in cui il protagonista tra una ruota bucata e un gelato per il Secco, ci racconta i punti fondamentali della sua vita attraverso il disagio che l'ha accompagnata. Insomma, siamo un po' tutti Zerocalcare e chi dice il contrario è falso come un gesuita.
Guardare la serie (e capirla) è come mettersi davanti a uno specchio, cosa non sempre facile. Sarebbe un errore però erigere Zerocalcare ad un guru perché è semplicemente un essere umano che ha messo in piazza con coraggio le proprie problematiche e niente più con la capacità di prendersi in giro diventando lo psicologo di se stesso. "Strappare lungo i bordi" è anche un accumularsi di citazioni di film, libri e serie tv che portano certe considerazioni alla portata di chiunque.
Concludiamo dicendo che la serie era un tassello mancante e per fortuna ora possiamo godercela comodamente seduti sul nostro divano de de spade perché infondo tutto quello che ci circonda è una cosa che fa paura ma è anche una cosa bella, è la vita..
Luca Albanese
lunedì 15 novembre 2021
Intervista a Cristiano Ciccotti
Ho appena parcheggiato la macchina nella piazza di Bobbio, sono in ritardo. Mi avvicino all'edicola e chiedo all'edicolante se la sosta è a pagamento. Lui mi guarda, si volta, prende un fumetto e me lo porge: "Squadra 666". Alzo lo sguardo per dirgli che non mi interessa ma lui non c'è più, non c'è neppure l'edicola. Mi guardo intorno, sono all'interno di una cripta. Dei passi lenti si stanno avvicinando, indietreggio. Sapevo che non sarei mai dovuto venire qua. Mi appoggio alla parete mentre qualcuno o qualcosa si avvicina, sento il cuore in gola. I passi si fermano e inizia una musica: "The Final Countdown". Cristiano Ciccotti entra ballando con uno stereo Philips anni '80, spegne lo stereo e mi guarda.
Dopo essermi diplomato al Liceo Classico “Amedeo di Savoia” di Tivoli, dato che ero davvero molto attratto dal mondo del cinema, mi sono iscritto al Dams dell’Università di Tor Vergata a Roma, sperando di trovare il modo per entrare in quel mondo. Poi, un paio di anni dopo la laurea, volendo capirne di più su come si scrivesse un film, mi sono iscritto al corso di sceneggiatura della Nuct, dentro Cinecittà. Lì, tra i miei compagni di quel corso, c’era anche Daniele Misischia, con cui ho stretto fin da subito un’amicizia molto forte, che nel tempo è diventata fraterna, condividendo praticamente gli stessi gusti e la stessa passione sia per il cinema, che per la musica, che per il senso dell’umorismo, oltreché per tutto ciò che per noi conta.
Credo perché chi è nato negli anni ’80, come me, ha avuto modo di crearsi un pantheon cinematografico e culturale in cui il mondo del fantastico era assolutamente preponderante. Raccontare storie in cui l’elemento fantastico e il paranormale siano presenti e soprattutto centrali, secondo me, è di gran lunga più interessante che raccontare situazioni che vedo e vivo in prima persona tutti i giorni quando esco di casa. Inoltre, cosa più importante, raccontare una storia “fantastica” (in senso più lato possibile), ti permette di analizzare e raccontare meglio le tematiche che viviamo nel presente. Un esempio su tutti: la prima trilogia di “Guerre Stellari” (ep. IV, V e VI), racconta molto meglio e in modo estremamente più profondo ed interessante (ovviamente secondo me, eh) il rapporto tra un padre e un figlio rispetto ad altri film che raccontano “solamente” le difficoltà di un rapporto padre/figlio.
Ce ne sono davvero troppi. Farei veramente fatica ad elencarteli tutti, ma a naso: “Blade Runner”, “C’era una volta in America”, “Fight Club”, “La Finestra sul Cortile”, “The Game”, “Ritorno al Futuro” (chiaramente tutti e tre), “The Dark Knight”, “Inception”, “Essi Vivono”, “Lo Squalo”, “Hook”, “La Casa I e II” e “L’Armata Delle Tenebre” ma potrei andare avanti per ore!
- “The End” è un film claustrofobico ambientato in un ascensore, parlaci delle difficoltà che hai incontrato nella stesura della sceneggiatura.
In realtà grosse difficoltà non ne ho incontrate. Da quando un giorno di circa dieci anni fa Daniele mi disse “sarebbe figo ambientare tutto un film dentro un ascensore mentre fuori c’è l’apocalisse”, mi si è subito accesa la classica lampadina. Più che di difficoltà si trattava di una sfida, ovvero quella di non far annoiare chi avrebbe guardato il film. Così ci siamo messi sotto, ci era chiaro che avremmo dovuto far succedere qualcosa in ogni momento, per non far calare la concentrazione. Abbiamo deciso che il protagonista doveva essere un vero stronzo, un po’ come Colin Farrel in “In Linea con l’Assassino”, in modo che quando il suo mondo sarebbe andato a puttane tutti noi ne avremmo gioito, perché se lo meritava. In questo modo, paradossalmente, la gente avrebbe comunque empatizzato con lui, perché anche uno come Claudio Verona merita una seconda chance, se fa ammenda dei suoi peccatucci. Ho scritto la prima stesura della sceneggiatura durante l’estate del 2011. Poi, su quella base, insieme a Daniele l’abbiamo rivista, riletta a morte e riscritta, cercando di migliorare tutto quello che potevamo.
quel film ci fosse David Fincher non è mica un dettaglio da poco. Ma, tornando alle sceneggiature che avrei voluto scrivere, ci sono anche “Toro Scatenato”, “C’era una volta in America” o tutta la filmografia di John Carpenter. Ovviamente mi fermo per rispetto di chi legge!
- Chi eri in una vita precedente?
Ah, boh.
Un improvvisa nebbia si alza e comincio a sentire una cantilena nell'aria.
Notte fonda, notte scura
tu non devi aver paura
mercoledì 1 settembre 2021
Arianna Bonardi, la "strega" che ama Mary Poppins
Una fioca luce proviene dal fondo della caverna, una musica ancestrale accarezza le pareti di pietra oppure è solo la mia immaginazione. Mi avvicino alla fonte luminosa con la titubanza di chi ha la sensazione di essere in un sogno ma non riesce a svegliarsi. La sinuosa figura davanti a me, avviluppata da fumi aromatici, mi da le spalle. Mi avvicino, si volta e mi sorride senza parlare. Mi fa cenno di sedermi su di una roccia che assomiglia ad una poltrona, lei si accomoda davanti a me, sorride e mi tranquillizzo. Mi porge un calice fumante, dovrei essere sospettoso, soprattutto perché il fumo che ne fuoriesce è verde ma sono sereno, Arianna mi ha messo a mio agio e posso iniziare la mia intervista.
Come è nata la tua passione per la recitazione?
Dicci tre cose a cui non rinunceresti mai nella vita.
Il mio cane. Il cappuccino di soia. I miei nonni.
Foto di Erica Mottin
(Instagram Facebook)
mercoledì 21 luglio 2021
Volevo nascondermi - L'arte può salvare la vita.
IL FILM
"Volevo nascondermi" è un film difficile. Una pellicola complessa in ogni sua parte: recitazione, regia, sceneggiatura e soprattutto "disturbante" per uno spettatore distratto. "Volevo nascondermi" ha bisogno di completa attenzione, non è un film per passare il tempo.
Dobbiamo portare rispetto ad un uomo che era artista a 360° e questa biopic lo fa in maniera egregia. Antonio Ligabue viveva l'arte senza filtri: il naif, di cui era uno dei più grandi esponenti in Italia. Era riuscito a trasformare il suo stato mentale in dono ed è stata per tutta la vita "l'essenza" del suo lavoro. La purezze e l'ingenuità di un uomo che amava a tal punto gli animali da non disegnargli neppure la pioggia che li bagnasse.
Reduce da un infanzia difficile, il pittore arriva in Italia dalla Svizzera nel 1919, a Gualtieri. A causa dei suoi problemi fisici e mentali in pochissimo tempo viene considerato da tutti "lo scemo del villaggio". Questo di certo non giova al ragazzo appena ventenne, il piccolo paese lo isola e lui trova nella pittura una potente valvola di sfogo. Il contatto con la natura, soggetto preferito, diventa intimo. Una sorta di connessione con qualcosa di più grande di noi e di cui noi, dilaniati da preconcetti, non comprendiamo la provenienza.
Ligabue era un uomo solo che è riuscito a dare un senso alla sua vita attraverso la pittura, lanciando un messaggio importante: "L'arte può salvare la vita". L'uomo diventa un tutt'uno con la Natura selvaggia che nella sua semplicità riesce a regalarci immagini spettacolari senza barriere.
La sceneggiatura asciutta riesce ad attirare lo spettatore all'interno di quel mondo contadino, dove le parole sono superflue. La campagna emiliana fa da sfondo alla pellicola in una fotografia così intensa che pare di sentire l'odore della terra arsa dal sole.
Elio Germano con un interpretazione magistrale, riesce a "dipingere" la figura dell'artista senza diventare macchietta, accompagnandoci nella sua mente in punta di piedi per comprendere le sensazioni che lo hanno fatto diventare un pittore immortale.
Luca Albanese
L'ARTISTA
Parlando di Ligabue la prima cosa che viene in mente sono i combattimenti di animali, belve selvatiche o bestie da cortile rese con un’ampia pennellata gestuale e impetuosa, con colori vividi spessi e un segno nero angoloso, puntuto, netto e tagliente. Ligabue si personifica con gli animali dipinti, studiati, imitati nei campi e nei boschi in cui errava. La lotta tra vita e morte che rappresenta nei dipinti è il suo disagio interiore, un io lacerato costretto spesso a soccombere dinanzi a una cultura anacronisticamente positivista e una società che ha bisogno di additare il “pazzo” per convincersi della propria normalità. Per capire quanto sia imprescindibile la tematica del bestiario nell’arte di Antonio -unica forma di conoscenza di cui era capace, sola certezza di appartenere al mondo- basti pensare che di fronte alla Sistina di Michelangelo arrivò a dire che un pittore che non inserisce animai nei suoi dipinti non può essere considerato tale. Autodidatta, la passione per il disegno si manifesta in lui già da bambino, quando frequentava il collegio per ragazzi handicappati di Marlach, da cui sarà espulso per cattiva condotta, reagendo alle derisioni dei compagni con violenza. Ligabue è totalmente estraneo al suo tempo, non è consapevole dei dibattiti estetici riguardo l’arte e la cultura, eppure nei suoi dipinti sono ravvisabili delle affinità stilistiche a partire da Klimt, nella resa decorativa e a tessere e nella bidimensionalità della composizione, fino alla Scuola romana, da Mafai a Stradone a Borrelli, influenze certamente scaturite dalla frequentazione con Mazzacurati, pittore anch’egli, con cui fece conoscenza durante la vita errabonda nei boschi e da cui fu ospitato nella sua dimora.
Da questo momento arriverà il riscatto: l’artista inizierà a firmarsi Ligabue, e non più Laccabue, il cognome del patrigno, consapevolizzando così la sua condizione di pittore. La rivalsa gli permetterà di regalarsi una moto prima e successivamente di aprire una scuderia di automobili, di trattare male chi lo bistratterà difendendo invece i più deboli, gli emarginati, le prostitute e i bambini. Verso questi ultimi mantiene addirittura un timore reverenziale, tanto che gli si rivolge dandogli del voi. D’altronde la sua arte mira alla purezza, all’ingenuità, alla legittimazione della follia attraverso il primitivismo che si affianca al mito del “buon selvaggio” di Rousseau e di Gauguin. A proposito di follia, è inevitabile il reiterato paragone con Van Gogh, con cui condivide alcune scelte formali, la condizione di isolamento, e gli autoritratti ripetuti fino all’ossessività, quasi a ribadire il diritto di esistere, di far parte del mondo. Ma l’arte di Van Gogh è qualcosa di strutturato, risente della pittura olandese, di Rembrandt, va contro l’impressionismo pur schierandosi dalla parte di Cèzanne, mentre Ligabue è totalmente incolto ed estraneo ai tormenti intellettuali dell’epoca. La sua formazione risale alle visite al museo di scienze naturali di Sangallo, condottovi dal patrigno nei momenti di pausa dalle frequenti bevute. Un’arte, quella di Ligabue, in stretta congiunzione con la sua vita tormentata, la sua personalità folle, per cui la pittura è allo stesso tempo mezzo di sostentamento e strumento per ribadire il diritto di esistere, per salvarsi dalla morte.
Laura Cianfarani
martedì 13 luglio 2021
Contrera, un detective fuori dalle righe
La recensione non parlerà di un libro ma di una serie di libri, il genere è poliziesco ma non nel senso classico del termine. Il protagonista è un ex poliziotto di Torino, cacciato via perché, intenzionato a svoltare la sua vita, ruba un carico di droga sequestrato dai colleghi della narcotici per spacciarlo nel suo quartiere (Barriera Milano), diventato negli anni una babele multietnica carica di delinquenza e degrado a tal punto che per la gente è diventato impossibile viverci. Quando viene preso in fragranza di reato non si apre nessun processo a suo carico grazie ai meriti del padre, poliziotto encomiabile, apprezzato dai colleghi e dai suoi superiori.
Una volta sbattuto fuori dalla Polizia, con l'aiuto di un amico carabiniere riesce ad ottenere la licenza di detective privato. Inizia ad esercitare la nuova professione usando come ufficio una lavanderia a gettoni di proprietà di un magrebino che gli permette di tenere anche un frigo bar che lui riempie di birre Corona, di cui non può farne a meno. La sua clientela è della più disparata, solitamente gente del posto, vittima della malavita, che spesso non ha nemmeno i soldi per pagare i suoi servigi.
Paola Turci vola così...e ci stupisce
Prima nazionale al Teatro Moderno di Latina dello spettacolo teatrale "Mi amerò lo stesso" dove la cantautrice Paola Turci si racc...
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Ho appena parcheggiato la macchina nella piazza di Bobbio, sono in ritardo. Mi avvicino all'edicola e chiedo all'edicolante se la so...
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La barca dondola al ritmo pacato delle onde che s'infrangono sulla roccia. L'uomo che mi ha accompagnato fino a qua non ha detto u...
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Benvenuto visitatore, speriamo che questo sia l'inizio di un bel rapporto d'interazione tra noi e te. Siamo un gruppo di autori pon...