lunedì 21 novembre 2022

Paola Turci vola così...e ci stupisce

Prima nazionale al Teatro Moderno di Latina dello spettacolo teatrale "Mi amerò lo stesso" dove la cantautrice Paola Turci si racconta. Un viaggio emozionante in cui è facile rispecchiarsi. Conosciamo la Paola bambina che tra le mille insicurezze affronta l'infanzia, che attraversa l'adolescenza ed incontra la musica. È facile innamorarsi di Paola, perché è una ragazza semplice, una de no' artri ed è facile empatizzare con le parole che volano nell'aria tersa senza limiti. Danzano le parole, per poi adagiarsi sul cuore. È uno spettacolo che ti rimane dentro. Onesto e sincero, scritto magistralmente e magistralmente interpretato, consacrando Paola Turci anche come attrice oltre che a cantautrice. A tratti drammatica, l'interpretazione è soprattutto goliardica, sembra di essere a tu per tu con un amica che ti racconta momenti di vita. È aspra, dolce, spigolosa e ironica, ha mille sfaccettature ed è così coinvolgente che ti viene da pensare che è la tua vita che sta raccontando.
Poi all'improvviso tutto si ammanta di nero ed è il racconto del tragico incidente e lo vivi tutto, centimetro per centimetro di quell'asfalto maledetto. In quel momento affondi le dita nella poltrona per non sentire il dolore ma è inutile. Le parole sono taglienti come lamiere e la bocca impastata di sangue fa fatica a farne uscire il respiro. Noi siamo lei e te ne accorgi perché voltandoti per guardare le persone accanto, hanno tutte gli occhi lucidi.
Brava Paola, non ce lo avevi detto che volavi così ed ora su quel palco ti sei aperta con coraggio affermando che "Ti amerai lo stesso". Noi ti abbiamo sempre amato.

Luca Albanese

venerdì 18 novembre 2022

Un anno pieno di cose

 Dopo un anno di silenzio rieccoci qua. Un anno intenso dove sono successe tante cose, belle e brutte. Ma sappiamo che questa è la vita e non possiamo tirarci indietro. Volevamo intanto condividere con voi le cose belle, quindi nei prossimi post vi racconteremo cosa abbiamo fatto quest'anno, che di silenzioso ha avuto ben poco.




sabato 27 novembre 2021

"Strappare lungo i bordi" riflessioni sulla vita di un giovane inadeguato, come lo siamo stati tutti

 


Zerocalcare è geniale, questo è un dato di fatto. Il noto fumettista si è lanciato nella produzione di un  serie animata che irriverente e coraggiosa. Il protagonista affronta la rabbia e l'inadeguatezza di un gioventù che si sente fuori dal mondo. La sua coscienza-armadillo (doppiato egregiamente da Valerio Mastrandrea) è lo spirito zen che sta dentro ognuno di noi, lo jedi che si nasconde tra le sinapsi pronto a uscire fuori nei momenti di bisogno. 

Irriverente e senza paura di invadere spazi pericolosi, Zerocalcare va avanti come un treno mettendo in mezzo Hitler, Gesù, Fabrizio Frizzi, Mao Tse Tung e chi più ne ha più ne metta. La sua parlata romana e  isterica ha creato alcune discussioni sui social che lasciano il tempo che trovano. In verità lo slang è un punto di forza, ricercato e portato all'esasperazione volutamente. La serie è piena di spunti filosofici for Dummies che spingono lo spettatore a farsi delle domande esistenziali tipo " Sarà meglio la Pizza margherita o la Pizza Stocazzo? Ovvero, resto nella comfort zone delle mie abitudini e mi accontento oppure rischio e magari sta Piazza Stocazzo è la miglior pizza al mondo e rimpiango il fatto di non averla mai provata prima? Insomma, il festival delle pippe mentali che ci fanno sorridere perché le abbiamo avute tutti e alcune ancora le abbiamo.


Ma il tema portante è un altro e lo scopriamo nell'ultima puntata, dopo aver seguito le disavventure di un viaggio a Biella ne scopriamo il motivo. Una sorta di Odissea in cui il protagonista tra una ruota bucata e un gelato per il Secco, ci racconta i punti fondamentali della sua vita attraverso il disagio che l'ha accompagnata. Insomma, siamo un po' tutti Zerocalcare e chi dice il contrario è falso come un gesuita.

Guardare la serie (e capirla) è come mettersi davanti a uno specchio, cosa non sempre facile. Sarebbe un errore però erigere Zerocalcare ad un guru perché è semplicemente un essere umano che ha messo in piazza con coraggio le proprie problematiche e niente più con la capacità di prendersi in giro diventando lo psicologo di se stesso. "Strappare lungo i bordi" è anche un accumularsi di citazioni di film, libri e serie tv che portano certe considerazioni alla portata di chiunque.


Concludiamo dicendo che la serie  era un tassello mancante e per fortuna ora possiamo godercela comodamente seduti sul nostro divano de de spade perché infondo tutto quello che ci circonda è una cosa che fa paura ma è anche una cosa bella, è la vita..

Luca Albanese




lunedì 15 novembre 2021

Intervista a Cristiano Ciccotti


Ho appena parcheggiato la macchina nella piazza di Bobbio, sono in ritardo. Mi avvicino all'edicola e chiedo all'edicolante se la sosta è a pagamento. Lui mi guarda, si volta, prende un fumetto e me lo porge: "Squadra 666". Alzo lo sguardo per dirgli che non mi interessa ma lui non c'è più, non c'è neppure l'edicola. Mi guardo intorno, sono all'interno di una cripta. Dei passi lenti si stanno avvicinando, indietreggio. Sapevo che non sarei mai dovuto venire qua. Mi appoggio alla parete mentre qualcuno o qualcosa si avvicina, sento il cuore in gola. I passi si fermano e inizia una musica: "The Final Countdown". Cristiano Ciccotti entra ballando con uno stereo Philips anni '80, spegne lo stereo e mi guarda.
- Sei in ritardo.
Vorrei scusarmi ma ho la gola secca dagli urli che non ho fatto uscire. Lui mi porge un bicchiere d'acqua sorridendo.
- Cominciamo?
Cerco di darmi un contegno, ormai la dignità me la sono giocata, prendo carta e penna (sono all'antica) mi siedo su una roccia e inizio l'intervista.

- Quali sono stati i tuoi studi?
Dopo essermi diplomato al Liceo Classico “Amedeo di Savoia” di Tivoli, dato che ero davvero molto attratto dal mondo del cinema, mi sono iscritto al Dams dell’Università di Tor Vergata a Roma, sperando di trovare il modo per entrare in quel mondo. Poi, un paio di anni dopo la laurea, volendo capirne di più su come si scrivesse un film, mi sono iscritto al corso di sceneggiatura della Nuct, dentro Cinecittà. Lì, tra i miei compagni di quel corso, c’era anche Daniele Misischia, con cui ho stretto fin da subito un’amicizia molto forte, che nel tempo è diventata fraterna, condividendo praticamente gli stessi gusti e la stessa passione sia per il cinema, che per la musica, che per il senso dell’umorismo, oltreché per tutto ciò che per noi conta. 

- Come mai le tue sceneggiature sono per la maggior parte horror/thriller?
 Credo perché chi è nato negli anni ’80, come me, ha avuto modo di crearsi un pantheon cinematografico e culturale in cui il mondo del fantastico era assolutamente preponderante. Raccontare storie in cui l’elemento fantastico e il paranormale siano presenti e soprattutto centrali, secondo me, è di gran lunga più interessante che raccontare situazioni che vedo e vivo in prima persona tutti i giorni quando esco di casa. Inoltre, cosa più importante, raccontare una storia “fantastica” (in senso più lato possibile), ti permette di analizzare e raccontare meglio le tematiche che viviamo nel presente. Un esempio su tutti: la prima trilogia di “Guerre Stellari” (ep. IV, V e VI), racconta molto meglio e in modo estremamente più profondo ed interessante (ovviamente secondo me, eh) il rapporto tra un padre e un figlio rispetto ad altri film che raccontano “solamente” le difficoltà di un rapporto padre/figlio. 

- Quali sono i tuoi film preferiti?
Ce ne sono davvero troppi. Farei veramente fatica ad elencarteli tutti, ma a naso: “Blade Runner”, “C’era una volta in America”, “Fight Club”, “La Finestra sul Cortile”, “The Game”, “Ritorno al Futuro” (chiaramente tutti e tre), “The Dark Knight”, “Inception”, “Essi Vivono”, “Lo Squalo”, “Hook”, “La Casa I e II” e “L’Armata Delle Tenebre” ma potrei andare avanti per ore! 

- Quali sono i tuoi libri preferiti? 
Anche qui, domanda difficile. Diciamo che sono più attratto dai racconti che dai romanzi, quindi menzionerò solamente gli autori: Gogol, Dostoevskij, Orwell, Calvino, Pirandello, Stephen King e Chuck Pahlaniuk. 

- Che libro hai sul comodino ora? 
In realtà sul mio comodino in questo momento c’è solo un’abat-jour! Mi sono “convertito” (per il momento) al Kindle, su cui sto leggendo “Incubi e Deliri” di Stephen King, guardacaso un’antologia di racconti. 


- Come nasce l’idea de “Il mostro della cripta”? 
“Il Mostro Della Cripta” è un’idea dei Manetti Bros., che hanno scritto la sceneggiatura del film svariati anni fa, mi pare nel 2007, insieme ad Alessandro Pondi e Paolo Logli. Daniele ed io ci abbiamo rimesso mano tra il 2018 e il 2019, quando i Manetti hanno deciso di produrre il film facendolo dirigere a Daniele, e così, anziché “modernizzarla” (in un decennio cambiano un sacco di cose), l’abbiamo riadattata negli anni ’80. 


- “The End” è un film claustrofobico ambientato in un ascensore, parlaci delle difficoltà che hai incontrato nella stesura della sceneggiatura.
In realtà grosse difficoltà non ne ho incontrate. Da quando un giorno di circa dieci anni fa Daniele mi disse “sarebbe figo ambientare tutto un film dentro un ascensore mentre fuori c’è l’apocalisse”, mi si è subito accesa la classica lampadina. Più che di difficoltà si trattava di una sfida, ovvero quella di non far annoiare chi avrebbe guardato il film. Così ci siamo messi sotto, ci era chiaro che avremmo dovuto far succedere qualcosa in ogni momento, per non far calare la concentrazione. Abbiamo deciso che il protagonista doveva essere un vero stronzo, un po’ come Colin Farrel in “In Linea con l’Assassino”, in modo che quando il suo mondo sarebbe andato a puttane tutti noi ne avremmo gioito, perché se lo meritava. In questo modo, paradossalmente, la gente avrebbe comunque empatizzato con lui, perché anche uno come Claudio Verona merita una seconda chance, se fa ammenda dei suoi peccatucci. Ho scritto la prima stesura della sceneggiatura durante l’estate del 2011. Poi, su quella base, insieme a Daniele l’abbiamo rivista, riletta a morte e riscritta, cercando di migliorare tutto quello che potevamo. 

- Cosa bisogna fare per affacciarsi al mondo della sceneggiatura?
 Il modo migliore è sicuramente essere innamorati del cinema e guardare più film possibile. Poi, ovviamente, bisogna impratichirsi: studiare i manuali di sceneggiatura (“Story”, “Il Viaggio dell’Eroe”, “Save The Cat”, tanto per citarne alcuni) e cercare di fare proprio il concetto di struttura e sviluppo. Ma la cosa più importante è scrivere, scrivere, scrivere e, soprattutto, riscrivere. 

- Un film che avresti voluto sceneggiare?
 Sicuramente “Fight Club”. La sceneggiatura di Jim Uhls è meravigliosa, scritta da dio. Poi, che a dirigere

quel film ci fosse David Fincher non è mica un dettaglio da poco. Ma, tornando alle sceneggiature che avrei voluto scrivere, ci sono anche “Toro Scatenato”, “C’era una volta in America” o tutta la filmografia di John Carpenter. Ovviamente mi fermo per rispetto di chi legge!

- Chi eri in una vita precedente?
Ah, boh.

Un improvvisa nebbia si alza e comincio a sentire una cantilena nell'aria.
Notte fonda, notte scura
tu non devi aver paura
luna rossa, luna piena
ma che bella questa schiena
Incomincia a girarmi la testa, mi appoggio alla parete rocciosa, guardo il sepolcro vuoto ai miei piedi, la pietra tombale è divelta. Ero certo che al mio arrivo fosse intatta. Perdo i sensi e l'ultimo mio pensiero è: "Che morte di merda!".
Mi risveglio in macchina, mi guardo intorno, sono ancora a Bobbio, il paese è deserto. Scendo dall'auto ancora confuso, guardo sul cruscotto e c'è una multa. Penso che andrò alla polizia per protestare ma qualcosa mi dice che è meglio tornare a casa trascrivere l'intervista che forse è frutto di una mia allucinazione, alla multa ci penserò domani...forse.

P.S. 
"Il mostro della cripta" è bellissimo, un omaggio ai B-Movie degli anni 80. Da non perdere!

Luca Albanese



mercoledì 1 settembre 2021

Arianna Bonardi, la "strega" che ama Mary Poppins

 


Foto:Tomasz Mlynarczyk
La barca dondola al ritmo pacato delle onde che s'infrangono sulla roccia. L'uomo che mi ha accompagnato fino a qua non ha detto una parola, solo un gesto nervoso con la testa. L'entrata della grotta, che a me riporta l'immagine fanciulla del pescecane di Pinocchio, è pronta ad inghiottirmi. 


Deglutisco mentre a colpi di remi entriamo fino a giungere ad un punto dove la terraferma mi dà l'opportunità di non dondolare più. La roccia millenaria asseconda i miei passi, mi volto per chiedere al barcaiolo se può prestarmi una torcia ma non c'è più, svanito nel nulla, sempre che sia mai esistito.

Una fioca luce proviene dal fondo della caverna, una musica ancestrale accarezza le pareti di pietra oppure è solo la mia immaginazione. Mi avvicino alla fonte luminosa con la titubanza di chi ha la sensazione di essere in un sogno ma non riesce a svegliarsi. La sinuosa figura davanti a me, avviluppata da fumi aromatici, mi da le spalle. Mi avvicino, si volta e mi sorride senza parlare. Mi fa cenno di sedermi su di una roccia che assomiglia ad una poltrona, lei si accomoda davanti a me, sorride e mi tranquillizzo. Mi porge un calice fumante, dovrei essere sospettoso, soprattutto perché il fumo che ne fuoriesce è verde ma sono sereno, Arianna mi ha messo a mio agio e posso iniziare la mia intervista.


Come è nata la tua passione per la recitazione?

Sicuramente è qualcosa che ho sviluppato sin da bambina, quando imitavo le scene dei film che amavo, da Mary Poppins a “La Storia Infinita”. La vera e propria passione però è scoppiata guardando la Galadriel di Cate Blanchett ne “il signore degli anelli”, quella performance mi spinse ad iscrivermi al corso di teatro del liceo. By the way, l'Ettore Majorana di Latina. Mi sono ripromessa che avrei studiato tantissimo per ottenere un ruolo così importante anche io.




Che scuole di recitazione hai fatto? Raccontaci il tuo percorso di attrice

Sono partita dal laboratorio teatrale del mio liceo Ettore Majorana di Latina, a cura di Vincenzo Castrichini. Poi ho preso una pausa per la Laurea, feci un patto con i miei: appena laureata avrei ripreso a studiare recitazione. E così è stato, il giorno dopo la laurea (in letteratura inglese) ho chiamato Enzo Provenzano, che è stato mio insegnante per tre anni presso il suo laboratorio “Le Tracce” di Latina. Ho provato a studiare recitazione in Scozia ad Edimburgo provando l'ammissione alla Queen's Margaret nel corso di Teatro ma ho fallito miseramente, ero ad un passo dal mollare tutto poi un inaspettato premio come “Miglio Attrice” ad un Festival di Cinema di Pavia con “Anna. Cronache di un'Attrice Emergente” di Daniele Misischia mi ha riportata in Italia. E da lì non ho più smesso. Mi sono spostata su Roma, mi sono iscritta al laboratorio di scrittura comica e cabaret “Makkekomiko” di Mago Mancini dove è nata la nostra “Matildà – Con l'Accento sulla A”. Ed ho vinto una borsa di studio con la Regione Lazio per il corso di “attori cine-televisivi specializzati in web serie” che mi ha portata a lavorare e studiare con Pupi Avati, Fabrizio Giannini e Ennio Coltorti. Ad oggi ho all'attivo tre ruoli al cinema e tanta voglia di migliorare e lavorare sempre di più.

Come è nata la serie “Matildà con l’accento sulla a” diventato ora un mediometraggio su Prime Video (per vederlo clicca qua)


In un pomeriggio di scrittura comica, si parlava degli opposti, dei conflitti che rendono comica una situazione e da brava anima macabra quale sono, ho subito pensato “immagina una sicaria che ha paura del sangue” e da lì,  attingendo dalla mia memoria emotiva e al mio amore per “Leon”, è stata una catena di idee e situazioni nate tutte dalla conflittualità che può dare l'idea di una persona che svolge un lavoro di cui ha tremendamente paura. Il resto è stato semplicemente inserire elementi che si ispirassero al film di Luc Besson che “Matildà” vuole omaggiare, unito a situazioni in parte autobiografiche mi hanno aiutato tantissimo a rendere Matildà ancora più mia e più vera.

Hai scritto soggetto e sceneggiatura di “Matildà”? Che difficoltà hai incontrato?

Io ho scritto i soggetti e i dialoghi, della sceneggiatura se ne è occupato il regista Daniele Misischia. Lui mi ha aiutata tantissimo dandomi delle tracce con le location ben precise poiché facili da organizzare e sfruttare. Io ho scritto tutte le situazioni e i dialoghi, lui li ha sceneggiati tirando fuori i copioni di Matildà. E' stato un bellissimo lavoro di squadra dal quale ho imparato tantissime cose.

Quali sono i tuoi libri preferiti?

Oddio che domanda. Un sacco, come lettrice mi sono formata su tantissimi testi: Harry Potter, Tess dei D'Urbervilles, 1884, Il Dardo e la Rosa e boh no, non si può rispondere a questa domanda. Non sono in grado! Però forse uno dei libri della mia vita rimarrà “Il Buio oltre la siepe”.

Quali sono i tuoi film preferiti?

Qua vado sul sicuro: la storia infinita, il signore degli anelli e Mary Poppins sono i pilastri della mia vita cinefila e quotidiana, sono i film per i quali ho fatto scelte importantissime nella mia vita. The Blair Witch Project invece è il motivo per il quale mi sono appassionata alla stregoneria ed esoterismo. Come serie TV direi “Twin Peaks” che chiude il cerchio esoterico per eccellenza.

Che consigli puoi dare a chi si affaccia nel mondo della recitazione?

Pazienza, miei giovani padawan. La recitazione è uno di quei percorsi che inizia a dare i suoi primi frutti dopo tantissimo tempo, perciò abbiate pazienza e non smettere di seminare anche quando apparentemente non ottenete risultati. Con studio, dedizione, sacrifici e la testardaggine di non mollare, otterrete in cambio tantissimo. Poi, in questo lavoro i contatti sono fondamentali. Quindi non siate invadenti né insistenti con le persone ma cercate di esserci, di essere sul pezzo, di essere informati sempre. Come dice il detto, il caso coglie le menti già preparate, nulla piove dal cielo. E sopratutto sostenete il cinema italiano, i progetti indipendenti, cercate tutte le occasioni possibili per stare davanti la telecamera e fare pratica, questo è un lavoro davvero molto incostante, diventati amici della telecamera quando vi arriva l'opportunità; e non parlate male o per partito preso del cinema nostrano perché è dove alla fine vorremmo tutti lavorare, quindi tanto studio, buone scuole e tutta la pratica che riuscite a fare per conoscervi come attori e come persone.

Il tuo canale Youtube è seguitissimo, cosa ti ha dato l’input per aprirlo? (per vederlo clicca qua)

Foto: Erica Mottin

Conoscendo altre persone che ne avevano uno, sentirli parlare dei loro video e della possibilità che ti offre una piattaforma come Youtube di portare nel mondo la tua immagine e i tuoi contenuti. Non ci avevo mai pensato! I nonni mi hanno regalato la prima telecamera HD nel 2011 ed è stata quella con cui ho iniziato a girare i miei primi video.

Dicci tre cose a cui non rinunceresti mai nella vita.

Il mio cane. Il cappuccino di soia. I miei nonni. 

Foto di Erica Mottin 
(Instagram  Facebook)



Improvvisamente una nebbiolina sempre più intensa sale dalle rocce e mi avvolge, sento la mia testa leggera e l'immagine di Arianna svanisce. Mi accovaccio a terra e chiudo gli occhi, sperando che al mio risveglio tutto sia tornato alla normalità.

❤❤❤❤

Arianna Bonardi nata a Roma, ha vissuto a Latina, il suo curriculum è già ricco di importanti collaborazioni.

CINEMA
Il Mostro della Cripta, Film Prod. Mompracem 2020 ruolo: Luba Valmont
Skull Girl, Pilot serie TV Noose Industry 2019 ruolo: Eva
Peggio per Me; Riccardo Camilli 2018 ruolo: Caterina
Ogni Maledetto Natale, Wildside Production 2014 ruolo: Zia
Tutto molto bello, P. Ruffini 2014 ruolo: Morticia Addams
The Vatican, Ridley Scott 2013 ruolo: Suora

TV-WEB
Autrice Protagonista di “Matildà – Con l'Accento sulla A”, SERIE WEB; regia Daniele
Misischia 2019
“L'Anima de Roma” Web Serie ideata da Fabrizio Giannini, in collaborazione con The
Cerebros e Roma Bella. Ruolo: Schiava di Cesare.
Nexilia s.r.l, video content creator per webzine cine-televisiva “Violetta Rocks”
Pubblicità Postepay, “Il must di ogni vacanza”, 2014, regia di Daniele Cocola
Soltanto Parole, cortometraggio regia D. Misischia ruolo: Morte
Protagonista di Anna: Cronache di un'Attrice emergente SERIE WEB, regia D.
Misisichia, NooseIndustry 2015





mercoledì 21 luglio 2021

Volevo nascondermi - L'arte può salvare la vita.


IL FILM

 "Volevo nascondermi" è un film difficile. Una pellicola complessa in ogni sua parte: recitazione, regia, sceneggiatura e soprattutto "disturbante" per uno spettatore distratto. "Volevo nascondermi" ha bisogno di completa attenzione, non è un film per passare il tempo.

Dobbiamo portare rispetto ad un uomo che era artista a 360° e questa biopic lo fa in maniera egregia. Antonio Ligabue viveva l'arte senza filtri: il naif, di cui era uno dei più grandi esponenti in Italia. Era riuscito a trasformare il suo stato mentale in dono ed è  stata per tutta la vita "l'essenza" del suo lavoro. La purezze e l'ingenuità di un uomo che amava a tal punto gli animali da non disegnargli neppure la pioggia che li bagnasse.


Reduce da un infanzia difficile, il pittore arriva in Italia dalla Svizzera nel 1919, a Gualtieri.  A causa dei suoi problemi fisici e mentali in pochissimo tempo viene considerato da tutti "lo scemo del villaggio". Questo di certo non giova al ragazzo appena ventenne, il piccolo paese lo isola e lui trova nella pittura una potente valvola di sfogo. Il contatto con la natura, soggetto preferito, diventa intimo. Una sorta di connessione con qualcosa di più grande di noi e di cui noi, dilaniati da preconcetti, non comprendiamo la provenienza. 

Ligabue era un uomo solo che è riuscito a dare un senso alla sua vita attraverso la pittura, lanciando un messaggio importante: "L'arte può salvare la vita". L'uomo diventa un tutt'uno con la Natura selvaggia che nella sua semplicità riesce a regalarci immagini spettacolari senza barriere.

La sceneggiatura asciutta riesce ad attirare lo spettatore all'interno di quel mondo contadino, dove le parole sono superflue. La campagna emiliana fa da sfondo alla pellicola in una fotografia così intensa che pare di sentire l'odore della terra arsa dal sole. 

Elio Germano con un interpretazione magistrale, riesce  a "dipingere" la figura dell'artista senza diventare macchietta, accompagnandoci nella sua mente in punta di piedi per comprendere le sensazioni che lo hanno fatto diventare un pittore immortale.

Luca Albanese


L'ARTISTA



Parlando di Ligabue la prima cosa che viene in mente sono i combattimenti di animali, belve selvatiche o bestie da cortile rese con un’ampia pennellata gestuale e impetuosa, con colori vividi spessi e un segno nero angoloso, puntuto, netto e tagliente. Ligabue si personifica con gli animali dipinti, studiati, imitati nei campi e nei boschi in cui errava. La lotta tra vita e morte che rappresenta nei dipinti è il suo disagio interiore, un io lacerato costretto spesso a soccombere dinanzi a una cultura anacronisticamente positivista e una società che ha bisogno di additare il “pazzo” per convincersi della propria normalità. Per capire quanto sia imprescindibile la tematica del bestiario nell’arte di Antonio -unica forma di conoscenza di cui era capace, sola certezza di appartenere al mondo- basti pensare che di fronte alla Sistina di Michelangelo arrivò a dire che un pittore che non inserisce animai nei suoi dipinti non può essere considerato tale. Autodidatta, la passione per il disegno si manifesta in lui già da bambino, quando frequentava il collegio per ragazzi handicappati di Marlach, da cui sarà espulso per cattiva condotta, reagendo alle derisioni dei compagni con violenza. Ligabue è totalmente estraneo al suo tempo, non è consapevole dei dibattiti estetici riguardo l’arte e  la cultura, eppure nei suoi dipinti sono ravvisabili delle affinità stilistiche a  partire da Klimt, nella resa decorativa e a tessere e nella bidimensionalità della composizione, fino alla Scuola romana, da Mafai a Stradone a Borrelli, influenze certamente scaturite dalla frequentazione con Mazzacurati, pittore anch’egli, con cui fece conoscenza durante la vita errabonda nei boschi e da cui fu ospitato nella sua dimora.


Da questo momento arriverà il riscatto: l’artista  inizierà a firmarsi Ligabue, e non più Laccabue, il cognome del patrigno, consapevolizzando così la sua condizione di pittore. La rivalsa gli permetterà di regalarsi una moto prima e successivamente di aprire una scuderia di automobili, di trattare male chi lo bistratterà difendendo invece i più deboli, gli emarginati, le prostitute e i bambini. Verso questi ultimi mantiene addirittura un timore reverenziale, tanto che gli si rivolge dandogli del voi. D’altronde la sua  arte mira alla purezza, all’ingenuità, alla legittimazione della follia attraverso il primitivismo che si affianca al mito del “buon selvaggio” di Rousseau e di Gauguin. A proposito di follia, è inevitabile il reiterato paragone con Van Gogh, con cui condivide alcune scelte formali, la condizione di isolamento, e gli autoritratti ripetuti fino all’ossessività, quasi a ribadire il diritto di esistere, di far parte del mondo. Ma l’arte di Van Gogh è qualcosa di strutturato, risente della pittura olandese, di Rembrandt, va contro l’impressionismo pur schierandosi dalla parte di Cèzanne, mentre Ligabue è totalmente incolto ed estraneo ai tormenti intellettuali dell’epoca. La sua formazione risale alle visite al museo di scienze naturali di Sangallo, condottovi dal patrigno nei momenti di pausa dalle frequenti bevute. Un’arte, quella di Ligabue, in stretta congiunzione con la sua vita tormentata, la sua personalità folle, per cui la pittura è allo stesso tempo mezzo di sostentamento e strumento per ribadire il diritto di esistere, per salvarsi dalla morte.

 

Laura Cianfarani



martedì 13 luglio 2021

Contrera, un detective fuori dalle righe




La recensione non parlerà di un libro ma di una serie di libri, il genere è poliziesco ma non nel senso classico del termine. Il protagonista è un ex poliziotto di Torino, cacciato via perché, intenzionato a svoltare la sua vita, ruba un carico di droga sequestrato dai colleghi della narcotici per spacciarlo nel suo quartiere (Barriera Milano), diventato negli anni una babele multietnica carica di delinquenza e degrado a tal punto che per la gente è diventato impossibile viverci. Quando viene preso in fragranza di reato non si apre nessun processo a suo carico grazie ai meriti del padre, poliziotto encomiabile, apprezzato dai colleghi e dai suoi superiori.
Una volta sbattuto fuori dalla Polizia, con l'aiuto di un amico carabiniere riesce ad ottenere la licenza di detective privato. Inizia ad esercitare la nuova professione usando come ufficio una lavanderia a gettoni di proprietà di un magrebino che gli permette di tenere anche un frigo bar che lui riempie di birre Corona,  di cui non può farne a meno. La sua clientela è della più disparata, solitamente gente del posto, vittima della malavita, che spesso non ha nemmeno i soldi per pagare i suoi servigi.

L'autore ha costruito il personaggio principale in modo geniale. Difficile descriverlo in poche righe ma si impara a conoscerlo caso dopo caso in un climax crescente che porta il lettore a divorarne le pagine. Contrera, questo è il nome dell'ex poliziotto (il nome non ci è dato saperlo) è uno "sfigato", senza un centesimo che ha lasciato moglie e figlia, rifugiandosi dalla sorella che lo ama nonostante il suo carattere. Insieme a lui vivono anche i due nipoti, un maschio adolescente e una bambina che lo adorano e un cognato che invece lo detesta.
Anche i personaggi secondari sono stati creati e sviluppati in maniera intelligente.
Il protagonista ha comportamenti discutibili, al limite della decenza morale, talvolta superandola. Irrispettoso dei sentimenti delle persone che lo circondano, riesce comunque a portare sempre al suo fianco il lettore con una forza empatica travolgente, perché ogni persona ha il proprio lato oscuro e si può riconoscere i alcuni comportamenti di Contrera. Malgrado tutto però è un ottimo detective, perseguitato dalla figura del padre con cui non può competere e che lo porteranno all'input autodistruttivo di non si sente all'altezza.
I casi, inizialmente banali hanno risvolti via via complessi vengono risolti con un guizzo tipico di una mente che ragiona in maniera arguta.
Lo stile di scrittura di Christian Frascella risulta originale, stupefacente e mai banale tiene incollato il lettore alle pagine fino all'epilogo che lascia l'amaro in bocca nella speranza di leggere una nuova avventura dell'investigatore Contrera.


I libri su Contrera sono:
Il colpevole se ne frega (racconto in ebook gratuito, Einaudi 2020)

Il prossimo romanzo uscirà a febbraio del 2022 e si doveva intitolare "Un uomo da uccidere" ma l'autore ha annunciato che è ancora un titolo provvisorio.


Sabrina Cardullo

Paola Turci vola così...e ci stupisce

Prima nazionale al Teatro Moderno di Latina dello spettacolo teatrale "Mi amerò lo stesso" dove la cantautrice Paola Turci si racc...